La sindrome di Blade Runner: Perché dobbiamo invecchiare?

“Io ne ho viste di cose che voi umani…”: è l’inizio del monologo del replicante Roy Batty alla fine di Blade Runner (quello del 1982 di Ridley Scott): un monologo potentissimo sull’esistenza, così toccante che – si racconta – dopo averlo girato tutta la troupe esplose in un applauso, e qualcuno si mise anche a piangere. I ricordi di Batty svaniranno “come lacrime nella pioggia” – e nella sua riflessione si esprime tutto il dramma essitenziale del replicante diventato uomo: “perché ci programmate, se poi dobbiamo essere spenti?”.

“…E HO VISTO I RAGGI B BALENARE NEL BUIO VICINO ALLE PORTE DI TANNHÄUSER.
E TUTTI QUEI MOMENTI ANDRANNO PERDUTI NEL TEMPO,
COME LACRIME NELLA PIOGGIA.”

roy batty, replicante di Blade Runner (1982)

Da un punto di vista puramente evoluzionistico, secondo studiosi come il biologo inglese Richard Dawkins l’invecchiamento sarebbe qualcosa di utile per la sopravvivenza della specie. Per la natura non è importante che un certo esemplare di mammifero, o d’insetto, o di rettile viva in eterno (anche se ci sono idre che sembrano vivere in eterno; e lo “Squalo della Groenlandia”, un pesce dalle movenze particolarmente lente che sembrerebbe poter raggiungere i quattro secoli di vita).

Secondo Dawkins, l’aspetto importante è che i nostri geni sopravvivano: in altre parole, gli organismi viventi servirebbero a garantire che il nostro patrimonio genetico (e quindi il nostro DNA) possa continuare a esistere, anche se tramandato ad altri organismi. Per questo, gli organismi in quanto “macchine di sopravvivenza” per i geni rimangono in vita biologicamente per la durata definita dall’evoluzione nel corso dei millenni, al fine di garantire le migliori probabilità di trasmissione del patrimonio genetico.

Gli organismi più giovani potrebbero essere più adattabili al cambiamento delle circostanze ambientali, e ciò aumenterebbe le possibilità di sopravvivenza genetica. L’evoluzione e la sopravvivenza hanno stabilito cioè che per andare avanti, un patrimonio genetico deve affidarsi periodicamente a un organismo “nuovo”, più evoluto e adatto alle circostanze.

Roy Batty interpretato da Rutger Hauer
Il biologo Richard Dawkins (foto di Shane Pope / Wikipedia)

Le idee sulla sopravvivenza dei geni sembrano essere diventate ormai una forma di ortodossia nel campo degli studi sull’evoluzione. Recenti ricerche hanno anche dimostrato che nel DNA delle cellule potrebbe essere presente una sorta di “orologio biologico” che definirebbe la velocità dell’invecchiamento. L’orologio – per l’appunto – sarebbe stato programmato dall’evoluzione

Le idee di Dawkins sono diventate note al grande pubblico grazie al suo saggio “Il Gene Egoista”, pubblicato nel 1976, e fin da subito hanno causato grandi controversie. L’aspetto innovativo della sua tesi era che a dover sopravvivere non fossero gli organismi nella loro interezza, e tantomeno le “culture” o le “civiltà” – ma qualcosa d’infinitamente più piccolo, come i geni. Dawkins è stato criticato perché, forse per a causa del titolo, sembrava sostenere che i geni fossero dotati d’intelligenza o di capacità morali (e di gente che si ferma alla lettura dei titoli non ne manca).

Blade Runner (1982)

Più e più volte Dawkins ha dovuto specificare che “solo un idiota potrebbe pensare che il DNA possa essere egoista in senso cosciente”. Anche perché, peraltro, a guardar bene la sua tesi non è del tutto contraria rispetto a quella tradizionale dell’evoluzione, che si concentra sulla sopravvivenza della specie. Se particolari geni sopravvivono – e i geni sono i codici di una specie – la conseguenza è che tale specie potrà continuare a proliferare.

Rimane da chiedersi se, ormai, l’idea dell’esistenza umana come momento quasi esclusivamente funzionale alla sopravvivenza dei geni sia ancora qualcosa di attuale. Le società umane (così come molte di quelle animali) accettano l’invecchiamento come parte normale dell’esistenza. Ma è ancora necessario? E’ ormai da qualche tempo che gli uomini hanno deciso di lasciarsi alle spalle l’idea della “legge del più forte” come base per la sopravvivenza della civiltà: grazie a un’altro tipo di evoluzione – quello della nostra società e della tecnologia – ci possiamo permettere qualcosa di meglio.

Giovanama è la tua rivista per l'anti-aging basata su fatti scientifici


Vuoi saperne di più?

Clicca qui!
Seguici su Instagram